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Roberto Baggio: un campione, una bandiera e un esempio

La carriera di Roberto Baggio, tra successi, sfide e vita fuori dal campo. Un viaggio attraverso la vita di uno dei calciatori più forti del mondo.

Nella storia del calcio italiano e nel vasto panorama del calcio mondiale, in pochissimi hanno lasciato un’impronta indelebile come Roberto Baggio. Conosciuto come “Il Divin Codino”, Roberto non ha rappresentato solo il “talento” o la “leggenda”, ma è stato quel numero 10 per antonomasia che manca in Italia, oltre ad essere uno dei calciatori più forti della storia e più amato dai tifosi delle squadre in cui ha giocato, e non solo. Parliamo di uno dei migliori giocatori della Juventus di sempre che è stato inserito nel possibile undici all-time del club bianconero.

Le origini della leggenda e gli infortuni

Il padre lo chiama Roberto, in onore di Boninsegna. Il talento di Baggio si vede sin da piccolo. Il Vicenza lo nota nella sua squadra locale, il Coldogno, e lo acquista all’età di 13 anni per 500.000 lire.

Nella squadra veneta fa notare subito di che pasta è fatto, riuscendo a segnare 110 gol in 120 presenze nelle giovanili e conquistandosi il posto in prima squadra, a 16 anni. In Serie A, chi nota il suo affascinante talento è la Fiorentina. Due giorni prima della firma con i viola Roberto si “fracassa” il ginocchio destro: legamento crociato anteriore e menisco, il primo dei tanti infortuni di Baggio.

Il presidente della Viola decide comunque di tenere il giocatore e il 21 settembre 1986 arriva l’esordio in Serie A, ma una settimana dopo il ginocchio fa di nuovo “crack”: secondo infortunio, a distanza di quasi due anni dal primo. Nelle tre stagioni successive a Firenze Baggio si lascia finalmente alle spalle gli infortuni, diventando uno dei giocatori più forti d’Italia e attirando l’attenzioni di una delle squadre più forti d’Italia, la Juventus.

L’ira dei tifosi viola, i primi trofei e il Pallone d’Oro

La sua esperienza alla Fiorentina, che doveva fungere da trampolino di lancio, si è confermata la vera affermazione del talento quale era Roberto Baggio. Nel ricordare la sua straordinaria carriera, la mente di chi lo ha visto giocare, e non solo, va , però, anche ai fatti dell’estate 1990. Ai tifosi viola le “notti magiche” di Italia ’90 sembravano interessar poco: la loro ira si scatenava contro la loro squadra per il passaggio dell’allora 23enne calciatore, considerato idolo fino a qualche giorno prima, alla rivale di sempre: la Juventus.

Risse in strade, feriti e arresti. La vicenda colpisce anche Baggio, che però non sembra accusarne quando scende in campo. Nella Juventus di Manfredi segna 14 reti in campionato e 9 in Coppa delle Coppe.

L’incredibile gesto che conferma l’incredibilità calcistica, positivamente parlandone, di Roberto Baggio si verifica nel match a Firenze contro i viola: alla sostituzione i tifosi di casa gli lanciano una sciarpa, lui la raccoglie e se la mette al collo. Poi sulla panchina bianconera si siede Giovanni Trapattoni, e per “Il Divin Codino” arrivano i primi trofei: una Coppa UEFA, uno Scudetto e una Coppa Italia. In mezzo il premio che lo consacra come uno dei calciatori più forti della storia: il Pallone d’Oro.

Roberto Baggio - Pallone d'oro 1993

Poi le cose cambiano nella Juventus. In panchina arriva Marcello Lippi, aumenta la concorrenza in attacco, tornano gli infortuni e il rapporto con l’intera società e con i tifosi va a diradarsi.

È allora che arriva la chiamata di Silvio Berlusconi, nell’estate 1995, che per 18 miliardi di lire porta Baggio nella Milano rossonera. Lì, a Milano, per Fabio Capello non è un titolare inamovibile, vista la presenza di altri miti come Marco Van Basten, Paulo Futre e George Weah, ma riesce comunque a contribuire alla vittoria dello Scudetto. Poi sulla panchina rossonera arrivano prima Oscar Tabarez, poi Arrigo Sacchi.

Con il secondo si riaccendono vecchi dissapori risalenti al Mondiale del 1994, di cui poi parleremo. Una critica pubblica di Baggio all’allenatore per l’esclusione da una formazione incrinò totalmente il rapporto tra i due, provocandone una frattura irreparabile.

Il Brescia e il ritiro di Roberto Baggio

Se ci sono dei momenti, forse, meno ricordati della stupenda carriera di Baggio, per quanto sia difficile dimenticarsi qualcosa, sono gli anni al Bologna e all’Inter. Considerato da molti “già sulla via del tramonto” e con il suo caratteristico codino “sacrificato”, l’impatto di Baggio nella squadra emiliana è subito determinante: 23 gol in 33 partite e fascia da capitano conquistata.

L’estate successiva va all’Inter, ma qui si mettono di mezzo le ginocchia, che continuano a causargli problemi. Nel 1999 sulla panchina nerazzurra arriva Marcello Lippi: tra i due ci furono conflitti, considerati “di infortunio” dal tecnico e “personali” dal giocatore.

Nonostante le tensioni, però, fu proprio grazie a Baggio che Lippi riuscì a mantenersi il posto da allenatore nerazzurro: i due gol nel decisivo spareggio Champions contro il Parma, infatti, contribuirono alla qualificazione dell’Europa che conta.

Roberto Baggio con la maglia del Brescia

Dopo l’esperienza all’Inter, nell’estate 2000 “er sor Carletto Mazzone” convinse un affaticato Baggio a passare al Brescia. Non fece scelta migliore Roberto: come da lui dichiarato quelli nella città “leonessa d’Italia” furono i suoi quattro migliori anni.

Segnò gol, fece assist, divenne l’uomo copertina della squadra e capitano, riuscendo anche ad entrare nella lista dei votati per il Pallone d’Oro 2001, vinto poi dall’inglese Micheal Owen, con Roberto in 25esima posizione. Alla sua prima stagione con il Brescia portò la squadra alla qualificazione in Coppa Interrotto, persa poi in finale con il Paris Saint-Germain.

Il 16 maggio 2004, nella sua ultima partita, tutto San Siro lo omaggiò con una commovente standing ovation. Dopo quel 16 maggio, il Brescia decise di ritirare per sempre la maglia numero 10.

L’incubo di Roberto Baggio: quel rigore a Pasadena

Quando si pensa a che giocatore è stato Roberto Baggio, si pensa anche a che giocatore poteva essere. Ancor più forte, talentoso, leggendario di quanto sia stato? Forse questo non lo sapremo mai. Ma se dovessimo pensarlo potremmo considerare le cause per la quale non lo è diventato. Tra i problemi de “Il Divino Codino”, non ci furono solo i tanti infortuni.

Quello per cui Roberto ancora non dorme è il pomeriggio del 17 luglio 1994. Ma partiamo dall’inizio. Baggio fin da subito viene considerato uno dei giocatori più importanti della Nazionale italiana. Debutta con gli azzurri nel 1988. Il suo momento più importante è, però, sicuramente la Coppa del Mondo FIFA 1994, disputata negli Stati Uniti. Trascina la squadra di Arrigo Sacchi, con cui ha vari diverbi durante il ritiro, fino alla finale di Pasadena contro il Brasile.

Roberto, però, di sedersi in panchina non ne volle sapere. Nei 120’ si vedeva che non era in forma. 0-0 allo scadere, per la prima volta nella storia del Mondiale, il trofeo si sarebbe assegnato ai calci di rigore. L’ultimo rigore, dopo gli errori di Massaro, Marcio Santos e Baresi, spettava calciarlo al calciatore più forte, che dal dischetto aveva sempre segnato: Baggio. Prese la rincorsa e partì: alto, Brasile Campione del Mondo e Italia a pezzi.

L’errore de “Il Divin Codino” fu decisivo, ma solo chi ha il coraggio di tirare un rigore può sbagliarlo, parola di Roberto Baggio. Dopo aver partecipato al Mondiale del 1998 in Francia, desistito dai tre infortuni in pochi mesi, Giovanni Trapattoni decise di non chiamarlo, anche se il realtà lo voleva con sé.

Roberto Baggio e la finale Italia-Brasile di USA 94

Cosa è stato e cos’è Roberto Baggio

Calcisticamente parlando, è stato qualcosa che ha fatto sognare l’Italia per anni. Dribblatore, dotato di una tecnica ineguagliabile, finalizzatore e punto di riferimento: Baggio è stato ed è un esempio per chi ha giocato con lui, per chi lo ha visto giocare e per chi oggi gli si ispira.

In diciotto anni ha scritto bellissime pagine di calcio, non solo italiano. Baggio però è stato anche altro: l’esempio del ragazzo partito dalla provincia diventato la bandiera calcistica di un intero paese.

Oggi Roberto si gode i figli e il matrimonio con la storica fidanzatina. Ha preferito stare lontano dal campo e concentrarsi sulla tranquillità. Nella sua amata villa di campagna nel vicentino vive allevando animali e lavorando la terra, oltre a continuare a coltivare la sua fede buddista.

Baggio si impegna anche nel sociale: ha fondato la “Roberto Baggio Foundation”, un’organizzazione che si occupa di sostegno nei confronti dei bambini svantaggiati e disabili.

Un’icona di stile in campo e fuori

Come nel calcio, anche nello stile Baggio ha avuto una carriera altalenante, con momenti di grande successo e altri meno felici, simili alle sue performance in campo. Durante la cerimonia del Pallone d’Oro del 1993 a Parigi, Baggio non ha brillato come ambasciatore dello stile italiano.

Il suo abbigliamento, con una cravatta rossa e un nodo eccessivo, rifletteva un’estetica degli anni ’90 non sempre apprezzata. Questo stile si è evoluto nel tempo, passando dalle classiche Persol alle moderne maglie Marcelo Burlon. Gli outfit sportivi di Baggio, come le giacche Kappa della Juventus o i cappelli alla rovescia, lo hanno reso un’icona non solo nel calcio ma anche nell’estetica degli anni ’90.

Ma è nello street style che Baggio espresse al meglio la sua genialità e creatività, superando gli altri giocatori sia dentro che fuori dal campo, un po’ come Pirandello faceva con la penna.

Roberto Baggio

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