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Petrachi a Tuttosport: “Bremer è più forte di De Ligt”

L’ex direttore sportivo dei granata sicuro del valore del difensore brasiliano appena acquistato dalla Juventus

Arrivato al Torino a fine 2009, come capo degli osservatori e subito dopo promosso a direttore sportivo, Gianluca Petrachi ha scritto dieci anni in granata ricchi di soddisfazioni per i tifosi e il presidente Urbano Cairo: dalla promozione in serie A agli ottavi di finale di Europa League con Giampiero Ventura in panchina, per passare a tutta una serie di plusvalenze che portano i nomi, ad esempio, di DarmianZappacostaMaksimovicBruno PeresImmobileBerenguerCerci e ora, in primis, Gleison Bremer.

Buongiorno Gianluca Petrachi, la Juventus ha preso Bremer. Il difensore lo scovò lei in Brasile nel 2018 quando lo portò al Torino. Ricorda come andò l’operazione e come convinse il presidente Cairo sulla bontà dell’acquisto? A quel tempo il calciatore aveva 21 anni ed era reduce da una sola stagione nell’Atletico Mineiro.

«Ricordo tutto, certo. Negli anni in cui sono stato direttore sportivo della società granata solitamente verso fine campionato, dopo il lavoro con Wyscout dei collaboratori, andavo di persona in Sudamerica per visionare dal vivo i profili che ritenevamo più interessanti. È successo con Bremer come per Bruno Peres, tanto per fare un altro esempio. Erano tre le tappe: BrasileUruguay e Argentina».

Viaggi redditizi per il Torino. Parliamo di quello che le permise di innamorarsi di Bremer.

«Ce l’ho ben presente quell’anno. Si preannunciava una stagione in cui avremmo avuto la necessità di rinforzare il reparto dei difensori e avevamo l’allenatore, Walter Mazzarri, che giocava con la difesa a tre. Per cui quando andai in Brasile strinsi la mia ricerca sui marcatori che erano diventati una priorità per quel mercato. In quell’occasione sul block notes avevo due centrali, Lucas Verissimo e Gleison Bremer. Gli algoritmi e i numeri erano dalla loro parte ma io dico che non bastano, spesso mi baso sulle sensazioni e quelle le hai solo se vai a vedere le partite sul campo».

Che mandato aveva da parte del presidente granata?

«Cairo mi disse di provare a chiudere per tutti e due. Ma la situazione non era semplicissima per Verissimo, che aveva due anni in più rispetto a Bremer ed era già più conosciuto da molti addetti ai lavori. Il problema era il suo presidente del Santos, mi faceva diventare matto. Un giorno chiedeva sei milioni per il cartellino, quello dopo dieci. Poi non lo voleva più vendere! Insomma, un vero e proprio delirio. Il ragazzo aveva tra l’altro il vantaggio che sarebbe potuto diventare comunitario facilmente grazie alla moglie ma, in assoluto, una situazione complessa. Col passare dei giorni mi focalizzai di più su Bremer che allora era più grezzo ma avevo intuito margini di crescita enormi. Ricordo come se fosse adesso una sua partita di Coppa che andai a vedere: segnò un gol di testa e rimasi impressionato da potenza, stacco e tempismo con cui si inserì sul cross. Il presidente si fidava di me, erano già circa sei anni che lavoravo con lui, e per spiegargli i profili dei due giocatori che mi piacevano molto dissi che Bremer ricordava per come giocava Chiellini, mentre Verissimo era un difensore alla Bonucci, piedi più educati ma meno aggressivo sulla punta. Bremer era già allora davvero impressionante per come pressava l’attaccante e non temeva mai gli uno contro uno. Anzi, si esaltava. Adoravo quel suo spirito guerriero, dove il coraggio era al primo posto».

Quindi alla fi ne decideste di andare solo su Bremer. Come convinse Cairo?

«Gli dissi che era un investimento con buone prospettive e poi mi era piaciuto tantissimo non solo il giocatore ma anche l’uomo. Lo conobbi e capii subito che mi trovavo davanti a una persona seria. Un ragazzo d’oro. E infatti appena arrivò al Torino mantenne il profilo di serietà massima, umiltà e grande applicazione. Spendemmo poco più di 5 milioni di euro e dovetti insistere un po’ perché Mazzarri e il suo vice Frustalupi non erano convintissimi visto che il ragazzo aveva ancora delle lacune su cui si sarebbe dovuto lavorare mentre io e Roberto Miggiano, il mio collaboratore, spingemmo per questa operazione che condussi in porto. E visto che Verissimo era un problema pensai a Izzo che dava solidità per puntellare il reparto arretrato».

Lo scrive Tuttosport.

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